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Il sergente francese

L’ho incontrata di nuovo, usciva dal bosco.

Si è fermata, le piace parlare con me nel dialetto del Berry, dice che è il francese più antico.

Nonostante non sia più giovanissima è la donna più bella che abbia mai visto. Quando la incontro mi batte il cuore. E dire che nella mia vita donne belle ne ho visto, ma questa… È scesa da cavallo e abbiamo fatto un pezzo di strada insieme.

Non è solo bella, è anche intelligente e curiosa. Invidio quel polacco con cui vive adesso, anche se credo che come uomo non le dia molte soddisfazioni. Un musicista, Chopin credo che si chiami, sempre così pallido!

Lei è bruna come una spagnola, con due occhi neri che bucano, una massa di capelli incredibile e la pelle olivastra. Nonostante abbia avuto due figli ha ancora la vita sottile e un seno bellissimo.

Una volta l’ho spiata mentre faceva il bagno nel fiume, in camicia.

Era notte e lei se ne stava distesa nell’acqua fumando un sigaro. Ogni tanto lo fa, soprattutto da quando vive con questo Chopin qui a Nohant, per questo credo che lui, come uomo, non funzioni tanto. Modestamente, nonostante i capelli bianchi, non le darei il tempo di uscire di notte.

Abbiamo camminato un po’ insieme chiacchierando.

Lei dice sempre “Florentin, sei un narratore nato!” mentre mi interroga sulla mia vita. Vuol sapere tutto, com’era davvero Bonaparte e gli altri che ho conosciuto, com’erano i soldati e le donne che seguivano i reggimenti, come mi sentivo durante le battaglie. A volte penso che mi invidi un po’ anche se la sua vita, a dar retta alle chiacchiere, sembra piuttosto movimentata. Ma è una gran dama, dico sempre io, e se lo può permettere.

Oggi le ho parlato di una storia molto particolare che ho vissuto ad Acqui, una cittadina del Piemonte, quando ero attendente di Lesne, nel 1807.

“Perché non la scrivi Florentin?” mi stuzzica.

Certo, so leggere e scrivere e questo è stato uno dei motivi per cui Lesne mi ha preso con sé, ma scrivere una storia!

Alla fine, dopo l’ennesimo assalto, ho promesso che butterò giù qualcosa per lei, potrebbe forse servirle come spunto per uno dei suoi romanzi, mi ha detto.

Ne dubito, so che scrive di donne e d’amore e nella mia storia… beh, in fondo amore ce n’è.

Ci proverò, in campagna c’è poco da fare in questa stagione e da quando è morta mia moglie mi sento solo.


Mi chiamo Florentin Ducruet, sono nato nel 1775 a Nohant, nel Berry, dove mio padre lavorava la terra dei Dupen de Françueil, i nonni di Madame Aurora.

Quindi di sette figli, ero il prediletto di mia madre che si era messa in testa di fare di me un prete. Per questo, nonostante le bestemmie di mio padre, mi aveva mandato dal parroco per imparare a leggere e scrivere e verificare se ero adatto a entrare in seminario. Quel furbone mi massaggiava spesso con il bastone mentre ingrassava con i polli e conigli di mia madre, ma qualcosa mi insegnava. Le lezioni migliori erano quelle di matematica, aveva una vera passione per i numeri ed era riuscito a trasmettermela, ma mio padre aveva bisogno di braccia, così mi tolse la penna e mi diede la zappa.

Devo confessare che preferivo la prima nonostante le bastonate e così, quando nel 1793 ci fu la leva di massa, mi arruolai nella Guardia Nazionale praticamente di nascosto, avevo una fame terribile di avventure e Nohant mi stava stretta.

All’inizio non fu facile, ma il fatto di saper leggere e scrivere mi aiutò a migliorare. Mi sono fatto le campagne d’Italia con Bonaparte e, quando l’esercito francese è diventato la Grand Armèe, ho combattuto nella battaglia di Austerlitz.

Bonaparte era magnifico, non ne ho mai visto uno così, a parte forse Moreau. Aveva un occhio magico per il campo di battaglia e la furbizia di una volpe. Con noi era durissimo ma così giusto e così trascinante che ci saremmo fatti uccidere pur di seguirlo. Di fatto ne sono morti tanti, ma allora sembrava che ne valesse la pena.

Quando ad Austerlitz sono stato ferito ho pensato che la mia carriera militare fosse finita. Ma sono guarito, anche se trascino sempre un po’ la gamba e il braccio destro non mi serve più così bene con il fucile, ho chiesto di rimanere nell’esercito e anche allora leggere e scrivere mi è servito. Mi hanno mandato in Italia, nel distretto di Montenotte, aggregato alla 28^ divisione, con l’incarico del controllo dei vettovagliamenti delle truppe. E qui ho conosciuto Lesne. Jean-Charles Lesne de Molaing, Agente Generale dell’esercito francese, era stato promosso Ispettore degli Ospedali Militari e destinato ad Alessandria che faceva parte del Distretto.

Io mi trovavo lì quando arrivò in cerca di un attendente. Confesso che mi annoiavo nelle mie nuove mansioni dopo dieci anni passati girando l’Europa, inoltre fare le pulci a quei poveracci che cercavano di fregarmi sul peso del grano non mi andava, in fondo ero anch’io un contadino e ne conoscevo la vita grama.

Ci incontrammo proprio a causa del mio lavoro, voleva i conti degli ospedali della zona. Dopo mi fece i complimenti, pare che fossero i migliori che avesse controllato fino a quel momento. Beh, io non ho mai rubato, rubare e barare alle carte mi ripugna.

Avevo un buon stato di servizio e lui aveva bisogno di un uomo con le mie competenze. In breve ci piacemmo e Lesne ottenne che fossi distaccato alla sua persona.

Così facemmo i bagagli e partimmo per Acqui.

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