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Una coppia di due

In ogni parte del mondo, in qualsiasi momento, c’è qualcuno che ride ma anche qualcuno che piange. Tanti anni fa Bobby Cantava”Se piangi, se ridi”, ma forse nessuno ci faceva caso.

Ernesto era probabilmente l’uomo più paraculo esistente sul pianeta terra. Per arrivare a questo era diventato abitudinario e programmatore soprattutto sul luogo di lavoro dove aveva fama di essere un perfetto “signorsì”.

Aveva diviso la giornata in tanti quarti d’ora, novantasei per l’esattezza e, a parte quelli che raggruppava per dormire, gli altri li aveva abbinati a un incarico, a un qualcosa. Così la mattina un quarto d’ora dopo essersi alzato faceva colazione in un quarto d’ora per poi raggiungere, in un quarto d’ora, l’ufficio e un quarto d’ora ci metteva, nel bagno, a fare lo stronzetto quotidiano e questo esattamente un quarto d’ora dopo la fine del pranzo che durava due quarti d’ora perché “mangiare lentamente è importante, il corpo va trattato bene e la fretta è nemica della digestione”.

A forza di quarti d’ora, dedicati a compiti diversi perché lui era un tuttofare, arrivavano le diciassette e quello era il momento del quarto d’ora numero sessantanove che era dedicato al ritorno a casa, stessa strada del mattino, camminando per il Lungo Tanaro.

Questo almeno era il modo con cui si era proposto sul luogo di lavoro, era quello che raccontava ai colleghi. Lui, quando tornava a casa, si toglieva quell’immaginario abito da inetto che indossava tutto il giorno e cercava di diventare una persona normale. Ci riusciva? Più o meno…A volte la forza dell’abitudine lo fregava.

E a quel ragazzo normale che lui avrebbe voluto essere al di fuori del luogo di lavoro sarebbe piaciuto un sacco conoscere quella bionda con le lentiggini che abitava nel suo stesso condominio.

 

2

 

Viola voleva bene al suo cane in modo meteorologico; se c’era il sole l’ago del suo barometro interno saliva e andava su “tanto bene”, “tesoruccio”, ma se pioveva quell’ago scendeva verso “che palle”.

D’altronde, si sa, se vivi in un appartamento e piove, quando torni dal giro di pisciate, il cane ti dipinge tutto il pavimento e se poi sale sul divano…

Viola in quel momento era sul Lungo Tanaro, poco distante da casa; lì c’era un manto erboso che andava fino al parapetto in cemento che serviva a contenere l’acqua del fiume quando superava il livello di guardia. Bisogna fare attenzione  a dove si mettevano i piedi perché quello era il gabinetto dei cani del quartiere.

Erano tre giorni che pioveva, lei che smadonnava, le scarpe piene d’acqua, il cane non pisciava anzi perdeva tempo ad annusare ogni ciuffo d’erba.

“Piscia che con i piedi a mollo mi becco un accidente! Ma perché ho mollato Arturo? È vero, non sapeva fare niente e a letto non era un granché, ma per lo meno per pisciare si aggiustava da solo!”

Questi erano i pensieri di Viola, bionda, capelli corti che mal sopportavano il pettine anzi andavano dove volevano a seconda del suo umore, un’esplosione di lentiggini ben distribuite su un corpo in forma smagliante. Aveva tutto per piacere a qualsiasi principe azzurro e invece si era messa con Arturo, rappresentante molto figo, parlantina sciolta ma poi tutto finiva lì, cervello zero. Quando, molto raramente, le veniva in mente, subito lo associava a una frase scritta con un pennarello su un muro di una stazione ferroviaria, una frase che probabilmente aveva scritto una donna e che diceva così: vorrei poter entrare nella tua mente per provare la sensazione del vuoto assoluto.

Con Arturo non aveva funzionato e così, dopo neanche un mese, l’aveva mandato a “spannare la meliga” come si dice qui nella mandrogna e nell’alloggio che i suoi genitori le avevano lasciato era rimasta da sola.

Dopo un po’ di tempo, stufa di tornare a casa la sera e non trovare nessuno ad aspettarla, e anche perché cominciava a parlare da sola, aveva preso questo cucciolo dai suoi zii nel Monferrato. La cucciolata era di cinque cagnolini, quattro femmine e un maschio; Viola, come nipote, era stata la prima a scegliere e così Eolo era giunto ad Alessandria.

Per la verità all’inizio l’aveva chiamato Cupido ma poi, per via di certi venticelli pestilenziali che emetteva dal posteriore, gli aveva cambiato nome.

“Sono le scatolette, per forza, quando gli faccio la minestra non le fa queste loffe micidiali!” pensava Viola.

E pioveva forte, lei era sola ed era già buio; non c’era nessuno in giro con quel tempo da lupi. Guardò il fiume, era cresciuto molto, cominciava a fare paura.

-Piscia che andiamo a casa!-

Per la verità Eolo era quasi sempre a casa da solo; all’inizio Viola lo aveva portato alcune volte in negozio ma non era stata un’idea delle migliori. Una volta stava vendendo a una “sciura” di Milano un vaso antico che costava come una Panda quando Eolo aveva deciso di cambiare aria al negozio e il risultato era stato che la “sciura” se ne era andata inorridita e il vaso continuava a rimanere in vetrina invenduto.

L’attività che adesso era di Viola era stata iniziata molti anni prima dai suoi genitori, entrambi amanti delle cose belle, originali… e care.

Vi erano molti pezzi unici che giungevano ad Alessandria grazie ai mercanti d’arte, trafficoni ma anche più semplicemente a gente comune che suo padre aveva avuto modo di conoscere quando, lavorando come rappresentante, girava il mondo.

Però Viola in quel negozio ci aveva messo anche qualcosa di suo, il suo estro per la pittura. Quella che da ragazza era una passione era poi diventato un hobby e ora era un lavoro che la impegnava molto ma la ripagava con delle belle soddisfazioni. D’altronde un lavoro nato da un hobby non viene percepito come una costrizione, un peso, e si fa con gioia, con passione. Così la pensava lei.

All’inizio si era specializzata nel dipingere le basi delle abatjour che decorava, guarda un po’, con motivi floreali usando perlopiù il verde e il viola, e quest’ultimo colore non era per caso. Il suo lavoro era apprezzato, le clienti cominciarono a portare svariati oggetti, moderni e antichi, dai ferri da stiro delle loro nonne a servizi di piatti e tazzine. In quei giorni stava decorando un vecchio innaffiatoio di latta che sarebbe diventato un portafiori.

Una volta in pensione papà e mamma, visto che il negozio era in buone mani, si erano presi un camper e giravano il mondo in lungo e in largo e quando trovavano qualcosa di veramente speciale, beh quella cosa finiva nel negozio della figlia.

Chissà dove erano in quel momento; l’ultima volta che li aveva sentiti al telefono stavano attraversando la Terra del Fuoco. Lei aveva dovuto cercare sull’atlante dov’era per poi chiedersi: “ma farà caldo nella Terra del Fuoco? Boh”. In quel momento Eolo si girò verso di lei e la guardò con quel suo modo strano.

Era tutto bianco, con una macchia marrone in mezzo agli occhi, una macchia che, come aveva detto la sua amica Rosa la prima volta che lo aveva visto, sembrava un punto interrogativo, come se guardandoti volesse dire: -Parbleu, ma tu chi sei?-

Ah, la sua amica Rosa!

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