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Di sale e di sangue

Linee

Il vecchio si distaccò dalla finestra. Il tramonto lasciava ormai il posto ad un buio che una vaga luce lunare bastava appena ad attenuare. In quell’evanescenza la linea sfocata delle montagne assumeva i contorni di colline lontane, mentre i ricordi del vecchio si confondevano e sfumavano in un barlume di memoria.

L’uomo si avvicinò al tavolo, ove il nipote stava giocando con una trottola.

-Robert, quante volte ti ho detto che non devi toccare queste carte?

Il bambino si fermò ad osservare la carta su cui stava lanciando il suo balocco, scrutandone le linee strane, le macchie di colore diverso, i segni bislacchi che potevano essere monti e paesi.

-Nonno, ma che cosa hanno disegnato su questa carta? – chiese guardando perplesso il vecchio.

Questi lasciò andare lo sguardo sulla vistosa legenda che il bambino non sapeva ancora leggere, seguì il contorno del rilievo sapientemente schizzato, i confini delineati di rosso, le chiazze che tinteggiavano i feudi, le case abbozzate che si raggrumavano talvolta in villaggi e città.

-Questa è la carta di paesi lontani del nostre Regno. L’ha disegnata un amico tanto tanto tempo fa – rispose il vecchio, spiegando poi al nipote il significato di quei bizzarri segni e colori.

Il bambino guardava incantato quelle linee bizzarre trasformarsi in colline, montagne, valli, paesi, e fiumi; rivolgeva gli occhi stupiti verso il nonno accanto a lui e quando questi pronunciava il nome di feudi di cui non aveva mai sentito parlare, come se nominasse regni fantastici di fiabe sconosciute.

Poi, riscuotendosi dalla sua meraviglia, indicò con un dito la linea rossa che attraversava trasversalmente tutta la carta e chiese al nonno:

-E questa cos’è? C’è stato davvero un tempo in cui una linea attraversava montagne e fiumi? L’hanno proprio dipinta sui campi e sui boschi? Tu l’hai vista?

Il vecchio sorrise, accarezzando i capelli del bambino.

-No, non l’hanno disegnata sul terreno, anzi, facevano molta fatica per capire dove fosse, visto che all’inizio l’avevano soltanto immaginata. L’amico che l’ha tracciata sulla carta ha passato molto tempo per trovarla. Anche io ho trascorso tanti anni ad affannarmi intorno a linee come questa. E tanta gente ci è morta per queste idee.

-Morti per delle linee? E chi erano? – chiese un po’ impaurito il bambino.

-Mah, erano persone che trasportavano merci da uno stato all’altro, specialmente il sale. E poi c’erano i soldati che cercavano di fermarli.E poi la guerra…

Il bambino continuava a guardare perplesso il nonno, non capendo di che stesse parlando.

-Ma è una cosa vecchia, non ti preoccupare. – rispose per tranquillizzarlo.

Il bambino tocco un po’ titubante la carta, seguendo con il dito quella linea, che sembrava snodarsi ondeggiante e quasi volersi spezzare, a dividere ancor più quei paesi e quelle città.

-Dunque era qualcosa che esisteva soltanto… nell’aria? – chiese esitante.

Il vecchio per un attimo non seppe cosa rispondere, colto da un’improvvisa ondata di tristezza; poi si rivolse al bambino, gli occhi umidi pieni di tenerezza ma fermi e decisi:

-Oh, sì, nell’aria, ma sulla terra pensa alle linee che tracciavano gli uomini che sfrondavano il sale e quelle dei soldati che li combattevano, prova a vedere nella tua mente le linee degli agguati e delle battaglie, con tanto sangue versato.

Il bambino parve colpito da quell’idea e ci rimuginò per qualche istante; infine, rialzò di scatto la mano dalla carta, quasi timoroso che qualcosa potesse afferrarla o ferirla. Guardò ancor più intensamente il nonno e gli chiese:

-Dunque quelle sulla carta sono il segno delle linee di quel sale e di quel sangue?

Il vecchio fissò gli occhi spalancati del nipote, sconvolto da quel concetto che il bambino aveva espresso nel suo linguaggio infantile. Quindi guardò ancora la carta, anche se il suo pensiero era rivolto a tempi lontani e seguiva uomini ormai svaniti, forse come i sentieri che avevano percorso.

Alla fine rispose.

-Sì, Robert, sono linee di sale e di sangue. Di sale e di sangue.

 

Gotta Secca

13 settembre 1724, mercoledì

Ondeggiava mossa dal vento.

Proprio davanti ad Etienne, la pianta dai piccoli fiori rosati si curvava verso il terreno, alle folate che risalivano la valle increspando i prati.

Ormai scomparso dietro alla folta macchia di faggi alle loro spalle, il sole diffondeva una luce stentata. Anche di calore scarso, ma il fresco portato dal vento faceva piacere dopo una giornata passata ad arrancare in quei boschi.

Conosceva bene i grappoli del millefoglio, fitti di petali pallidi, posti su quei ruvidi gambi, lanosi come le lunghe foglie frastagliate. Quante volte l’aveva racconta per curare le ferite, quell’erba detta “dei soldati”.

Ora, mentre attendeva dietro ad un ampio tronco e sentiva l’ansia tendergli le viscere, anche quei fiori fluttuanti potevano trasformarsi in un cupo presagio.

Improvvisamente, poco distante dalla pianta apparve un movimento d’ali azzurre e nere: una ghiandaia atterrò a distrarlo dai suoi pensieri inquieti.

Etienne, detto Vigueur, si voltò sorridendo verso il vicino compagno e gli indicò l’animale che saltellava guardingo in cerca di cibo.

Tuttavia, l’uccello colse quel movimento silenzioso e discreto e Marcelin, detto Joie, fece appena in tempo a scorgere la ghiandaia nell’erba rada ai margini del bosco che già essa prendeva il volo e scompariva tra il denso fogliame degli alberi, emettendo un grido acuto.

Anche Joie rise e subito iniziò a canticchiare sottovoce la filastrocca che ormai Viguer conosceva a memoria, pur comprendendo soltanto ciò che il compagno gli aveva spiegato: uccelli di ogni tipo che volano nel cielo, ciascuno a suo modo, piacevoli da vedere ed indifferenti alle preoccupazioni del mondo.

Metthinks I see a sight most excellent

All sorts of birds fly in the firmament:

Some great, some small, all of a divers kind,

Mine eye affecting, pleasant my mind.

Look how they tumble in the wholesome air,

Above the world of worldlings, and their care.

And as they in their way of flying too.

So many birds, so many various things

Tumbling i’ the element upon their wings.

La voce limpida quasi infantile di Joie creava ancora una volta il piccolo incanto e la mente inseguiva immagini lontane, si concedeva la dolcezza di un volo leggero e cercava sollievo alle angustie presenti inseguendo gli uccelli nelle loro capriole del cielo.

Da poco distante venne il richiamo del luogotenente a far silenzio, ma non c’era durezza nella sua voce e del resto l’ufficiale aveva atteso che la canzonetta terminasse prima di intervenire.

Vigueur smise di guardare il prato che si distendeva in declivio oltre il ciglio della strada e si sedette contro un albero. Sorrise ancora una volta a Joie, facendogli un segno di rimprovero scherzoso con la mano, e diede uno sguardo ai soldati più vicini: anch’essi stavano appoggiati ai tronchi o distesi sulla soffice superficie del sottobosco, immersi nei loro pensieri o forse sonnecchiando.

Nel dileguarsi della luce del giorno erano macchie appena distinguibili per il giustacorpo grigio-bianco, mentre il verde di maniche, paramenti e vesti sembra volervi fondere con cespugli e macchie d’erba.

Vigueur pensò che questa possibilità di mescolarsi con la vegetazione sarebbe stata profittevole di lì a poco, quando avrebbero dovuto rialzarsi rapidamente ad affrontare lo scontro.

Ora era meglio non pensarci, però: sistemò accanto a sé il fucile, la gibassiera delle cartocce ed il berretto foderato esternamente di pelliccia. Il millefoglio e la ghiandaia gli ricordavano altri luoghi e di questo la nostalgia avrebbe potuto nutrirsi: iniziò quindi a considerare le vicende della giornata, come aveva imparato a fare per allontanare ricordi che potevano fare male o l’affanno per ciò che sarebbe potuto accadere.

 

 

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