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Arata, il “Top Crime” d’antan ambientato nel Regno sabaudo

Il Fatto Quotidiano articolo di Massimo Novelli

Arata, il “Top Crime” d’antan ambientato nel Regno sabaudo

Le indagini di un ufficiale tra Piemonte e Liguria

Vive appartato nelle terre del Monferrato, a Terzo, alle porte di Acqui Terme. In questi anni ha scritto e pubblic

ato per una piccola casa editrice di Acqui, Impressioni Grafiche, tre romanzi storici notevoli, ambientati nel Piemonte e nella Liguria nei secoli XVII e XVIII, in cui la sapienza della macchina narrativa si coniuga perfettamente con la conoscenza della Storia. Ecco allora La torre e gli abissi, Un delitto nell’acquese seicentesco (2008), Di sale e di sangue (2010) e In una luce incerta (fresco di stampa), vicende fosche d

i delitti e contrabbandieri di sale, di onesti podestà e di rapaci feudatari, di nobildonne colte e malinconiche e di donne sospettate di stregoneria, di militari sabaudi di religione protestante e di banditi.

Tre libri che spiccano per la capacità dell’autore di ricostruire minuziosamente gli scenari del passato, fino nella topografia, nella musica, nei sapori, e di farvi agire i suoi personaggi, quasi sempre esistiti realmente, senza tradire mai la Storia, ma non rinunciando a declinare intrecci appassionati. Sono romanzi scritti come si deve scrivere un romanzo storico vero, insomma nel solco dei maestri,

e che niente hanno a che spartire con la narrativa pseudo-letteraria e pseudo-storica che va di moda, e che intasa le librerie con i Dante e Leonardo di turno. Semmai viene in mente, per Angelo Arata, il Leonardo Sciascia di Il Consiglio d’Egitto Il resto di niente di Enzo Striano.

Eppure pochissimi si sono accorti della bravura di Angelo Arata, nato nel 1953, già docente in un istituto di scuola superiore di Acqui e medievista provetto. Nella recente fatica, In una luce incerta, avventura che si dispiega nell’estate del 1759, un ufficiale sabaudo indaga su crimini e misteri muovendosi nei pericolosi sentieri del Regno di Sardegna e della Repubblica di Genova. Nelle due opere precedenti le storie erano affondate tra gli ultimi anni del 1600, quando ancora il Monferrato non era stato sottratto al Duca di Mantova e incamerato ai Savoia, e poi il primo trentennio del 1700. Lì, a far teatro, ci sono altre due indagini sul male, il cui emblema potrebbe essere il famoso verso di Eugenio Montale: “Spesso il male di vivere ho incontrato”.

Romanzi colti e di godibile lettura, nel contempo, che hanno come morale una frase di Pascal, citata da Arata: “Noi bruciamo dal desiderio di trovare un assetto stabile e un’ultima base sicura per edificarvi una torre che s’innalzi all’infinito; ma ogni nostro fondamento scricchiola, e la terra si apre fino agli abissi”.

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