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Una democrazia mafiosa

Quando la democrazia è fondata sull’appartenenza

Nero con nero non tinge (il Fascismo)

Col fascismo il diritto ritornò a confondersi col delitto e l’organizzazione statale, inglobando la mafia, ne rendeva superflua l’esistenza. Gli industriali del nord ed i latifondisti del sud non avevano più bisogno di comprare la violenza perché il regime tutelava i loro interessi e gli metteva a disposizione quella statale. Col fascismo “Tutto è nelle mani dello Stato, l’individuo non esiste se non in quanto è nello stato e subordinato alle necessità dello Stato… è soltanto un elemento infinitesimale e transeunte dell’organizzazione sociale” e può, quindi, essere sacrificato. Il Duce era legittimato direttamente dal popolo, organizzato ed inquadrato in un partito unico, che si identifica con lo Stato, che si identificava con Lui che, insediato al vertice presidiava la scala sociale ed imponeva le sue scelte ai rappresentanti dei dipendenti e dei datori di lavoro, controllava dall’alto accessi e carriere, gestiva i beni pubblici come proprietà personali, legittimava il suo operato e legalizzava i privilegi.
La gerarchia era costruita su categorie inquadrate e irreggimentate. “Il popolo ama le gerarchie, quando ciascuno occupa il suo posto, nessuno è scontento e si lavora tutti con piacere” così, il Duce aveva organizzato il consenso sterilizzando la scala sociale e creando un modello di società rigido in cui ogni individuo occupava un posto prestabilito e saliva di un gradino al ritiro o al decesso di chi lo precedeva. In tal modo si garantiva
l’ordinato svolgimento della vita civile e si evitava che qualcuno, opponendosi, mettesse in discussione la catena di comando. “Il segreto di ogni vittoria è nella coordinazione di tutte le forze sotto gli ordini di uno solo”.  Al grido “Meglio le legioni dei collegi elettorali” Mussolini, decretò la fine della politica e del parlamentarismo dando vita ad un corporativismo integrale che annullava l’individuo, “”agevolava l’invasione delle istituzioni da parte degli organismi portatori di interessi organizzati ordinati in relazione al loro interesse economico o professionale, dando un riconoscimento pubblico a poteri privati. Il “tenersi collegati..” del Manzoni non era più una libera scelta ma un obbligo imposto dall’alto. Anche De Gasperi, negli scritti pubblicati in una rubrica della “Illustrazione Vaticana” elogiava i modello corporativo, a cui Mussolini aveva legato le sorti del regime, che si realizzava inglobando la società civile nello Stato, irreggimentandola e creando una struttura per ordini multipli, indiretti, con una serie di unità primarie al di sopra delle quali si formavano via via raggruppamenti sempre più ristretti fino ad arrivare al vertice. Il rapporto tra l’individuo e lo Stato si sviluppava per subordinazioni successive passando dall’interesse individuale a quello della categoria (la famiglia, l’ordine professionale, la confessione religiosa, il circolo sportivo, etc.) e da questo a quello nazionale ed era mediato dai gruppi di pressione all’interno dei quali si formavano cordate e fazioni per “arrampicarsi”.
Il sistema era costruito su categorie, uniche, obbligatorie, non in competizione fra loro, ordinate gerarchicamente e differenziate funzionalmente, riconosciute dallo Stato, che attribuiva a ciascuna di loro la rappresentanza esclusiva dei rispettivi interessi. Ogni corporazione aveva il monopolio della rappresentanza del rispettivo settore di attività, presidiava l’accesso al lavo-ro, distribuiva le qualifiche, regolava l’offerta ed esercitava la giurisdizione sui propri iscritti in modo non diverso da come le maestranze medioevali difendevano i privilegi dei loro associati. Ad ogni categoria di lavoratori e di datori di lavoro era riconosciuta una sola associazione che, in quanto persona giuridica di diritto pubblico, oltre ad essere sottoposta, al controllo dello Stato, era anche investita di poteri nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria: un pastore per ogni gregge.

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