E’ una giornata di pioggia, tutto è grigio. Le nuvole basse sembrano appoggiare direttamente sulle lamiere delle baracche. I terreno è una distesa di fango, tutto farebbe pensare a una brutta giornata. Invece per i ragazzi dell’orfanotrofio di Val Gan è quasi un giorno di festa, perché con quelle condizioni non si possono cercare le mine antiuomo e quindi, almeno per questa volta, non ci sarà il sorteggio. Sono trentanove, tra bambine e bambini dai sei anni ai sedici. Tutti venduti per pochi spiccioli al loro attuale padre padrone: un uomo sui quaranta che si atteggia da ufficiale, infatti si fa chiamare Comandante dalle guardie ed è sempre vestito con una sorta di divisa in stile militare. I bambini non conoscono il suo nome e si possono rivolgere a lui solo con l’appellativo di Signore. Ma tra di loro lo chiamano Mercedes, perché su una tempia ha uno sfregio, una specie di cicatrice con una forma molto simile al simbolo della nota casa automobilistica tedesca. I ragazzi più grandi raccontano diverse storie sull’origine di quella ferita sulla fronte del loro aguzzino. Più che altro sono fantasie tramandate che sono diventate leggenda, racconti che terrorizzano i più piccoli e contribuiscono a costruire un’ immagine demoniaca del capo dei carcerieri. In effetti la loro condizione è quella di condannati ai lavori forzati che, in aggiunta, hanno sulla loro testa la spada di Damocle del sorteggio. Tutti i giorni si devono alzare al mattino presto per andare a lavorare nel laboratorio tessile. Dodici, quattordici ore al giorno con la schiena e la testa china su tessuti e fili di tutti i colori. Ma tutti loro sanno che il loro destino è appeso a un filo solo, quello che li potrebbe portare a fare il cacciatore di mine. Tutti i giorni, infatti, Mercedes sceglie tramite sorteggio: lui lo chiama in modo molto cinico il saltafile. Dopo aver distribuito un tozzo di pane e un po’ di brodaglia dal gusto indefinibile, i bambini devono andare a posare la tazza in un cassone metallico e prendere un numerino dal distributore posizionato nel centro del salone. Poi Tornano a sedersi e aspettano il momento in cui Mercedes infila la sua mano in un lurido sacchetto pieno di tesserine numerate.
I due sfortunati, prima di andare a lavorare ai tessuti, dovranno fare quattro ore di ricerca mine nel campo confinante con le loro baracche. È un compito pericolosissimo; negli ultimi sei mesi quattro di loro sono morti e altri sette sono rimasti feriti gravemente, alcuni hanno perso un arto e uno ha perso la vista. Per il Comandante e i suoi non è un problema, fanno molto in fretta a trovare dei sostituti e chi non è abile per il lavoro viene ributtato in strada; praticamente torna da dove era venuto.
Anche Sae e Moha venivano da li. Vivevano di piccoli espedienti per le strade della loro città, cercando di aiutare i loro genitori senza lavoro e in grandi difficoltà economiche. Un giorno arrivò al padre la proposta di Mercedes: qualche spicciolo per sopravvivere due o tre giorni e una promessa di lavoro per i due figli. I genitori litigarono tutta la notte prima di prendere la decisione, Il loro destino era ormai segnato. La mattina dopo Sae e Moha si ritrovarono a bordo di un furgone sgangherato, in viaggio verso il loro futuro nefasto. La ragazzina aveva indosso un paio di pantaloni blu e una camicetta azzurra, il bambino dei calzoni corti e una canottiera da pallacanestro di Micheal Jordan che gli sfiorava le ginocchia. In un sacchetto di plastica Sae portava i pochi effetti personali che i genitori erano riusciti a racimolare in casa.
Il viaggio fu interminabile, splendeva il sole e i due fissarono per tutto il tempo il paesaggio dai finestrini sporchi e crepati. La natura cercava di dare il meglio di sé in quei luoghi sperduti, ma troppi erano i segni di devastazione lasciati da un decennio di guerra. Alla fine del trasferimento si ritrovarono in una valle di montagna a decine di chilometri dalla loro casa. Davanti a loro videro una recinzione con filo spinato, all’interno un agglomerato di baracche e un grande capannone. Sul lato sinistro della spianata si trovava una parete rocciosa particolarmente impervia che mostrava, alla base, alcune cavità buie, delle caverne o dei tunnel. Sul versante opposto un bosco verdeggiante accompagnava lo sguardo fino a quello che poteva essere un valico o un pianoro. Sae provò a guardare di fronte a sé, oltre il filo spinato, in fondo alla valle; vide un grande campo, brullo, pietroso, che ad un certo punto si trasformava in uno sconfinato e bellissimo prato. All’orizzonte si intravedevano le montagne, ma una strana foschia incrociata dai raggi del sole le rendeva impalpabili, inde-finite. Scesi dal furgone Moha e Sae insieme ad altri sette, con cui non avevano scambiato nemmeno una parola in tutto il viaggio, fecero il loro ingresso al Val Gan del comandante Mercedes e conobbero subito la maligna accoglienza del suo cane.
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Il ricavato di questo libro sosterrà il rifacimento del tetto di un dispensario a Lwanga, in Senegal, presso una delle missioni gestite dalle Suore Francescane die Poveri (SPF).