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Il sapore della terra

IL “TUCCO” PER GLI AGNOLOTTI.

– Come li vuoi gli agnolotti, nel vino o con il “tucco”?
-Prima ne mangio due nel vino, poi il resto li mangio con il “tucco”
A proposito, come l’hai fatto il “tucco”?
-Come si fa il “tucco”, che discorsi.
-E cioè?
-Ho messo la carne tritata a rosolare nella cipolla con la salsa di pomodoro, come vuoi che l’abbia fatto.
-Quello non è il “tucco”.
-Questa è bella. L’ho sempre fatto così, me l’ha insegnato mia madre che a sua volta l’aveva imparato da mia nonna. Ti basta come tradizione?
-Ti ripeto che quello non è il nostro “tucco”
-Perché, come sarebbe questo vostro “tucco”?
-Beh, è tutto diverso. La carne nel nostro non ci va tritata, ma tutta d’un pezzo.
-Ma allora come fa a essere sugo di carne, se la carne non è tritata.
-Ci consuma nel sugo, lentamente. Deve cuocere anche due ore, in un soffritto di cipolla e di concentrato di pomodoro.
-Bella roba! lo almeno uso la salsa biologica.
-Sarà di sicuro più sana, ma il sugo non ti diventerà mai saporito come con il concentrato. E poi c’è un altro segreto…
-E qual è ‘sto segreto, signor Vissani?
-Tu ci ridi, ma è davvero il colpo d’ala di ogni sugo.
-E sarebbe?
-Farlo attaccare un po’.
-Bruciarlo, intendi?
-Quasi, salvando la parte non compromessa e rimettendola a cuocere con un’aggiunta.
-E questa sarebbe una pratica di alta cucina?
-Ah, questo non lo so, ma ti assicuro che il risultato è sorprendente.

-Se lo dici tu. Ma chi ti ha insegnato questa cosa?
-L’ho vista fare spesso e l’ho anche gustata, La faceva mia mamma.
– Ma così, per scelta?
-Ma, no, chi farebbe bruciare un sugo per scelta. Ma a lei succedeva spesso, l’ha bruciato anche tre volte nello stesso giorno.
– Povere padelle!
Brano cosi nere che non le ripulivi neanche con la paglietta. Ma il sugo era fantastico: tutti quelli che venivano a mangiare a casa mia di cevano che non avevano mai assaggiato un sugo così buono. Ma soltanto noi di famiglia sapevamo qual era il segreto.
– E alla carne che cosa succedeva?
Beh, qualche volta si carbonizzava, ma quando la prendeva in tempo era anch’essa gustosa, come una specie di arrosto accomodato.
Caspita, ho paura che resterai deluso dal mio misero sugo di carne tritata. Del resto, come si fa a reggere il confronto con la mamma… (la pentola tracima) Ou, mi sa che sono cotti. Te li tiro su quelli bianchi?
Si, mettimeli nella scodella. E mi raccomando, che ci sia anche un po’ di acqua di cottura.
– Acqua? Ma dalla pasta l’acqua bisogna scolarla, lo sanno tutti. E poi tu ci metti il vino!

-Dammi retta, mettici anche un po’ d’acqua.
-Questa proprio non la capisco. Mi sa che siete davvero un po’ strani nella tua famiglia.
-Nessuna stranezza, è così. Lo sanno tutti coloro che s’intendono di agnolotti. Ma purtroppo ce ne sono pochi.
-E perché ci vuoi l’acqua?
-Perché un po’ d’acqua salata rende più saporito il vino e poi tiene gli agnolotti belli caldi.
-E quanta ce ne vuole?
-Quella giusta.
-Ah, un bel criterio.
-In cucina i criteri devono essere intuitivi, non si può misurare sempre
-Stammi a sentire, fallo tu. Non voglio avere la responsabilità di rovinarti la scodella di agnolotti.
(Lui prende la schiumarola e tira su gli agnolotti)
– Ci va messa così, direttamente con la schiumarola. Se l’aggiungi dopo è tutta un’altra cosa. (Pausa) Ora ci aggiungo il vino, che deve essere Dolcetto. Nessun altro è adatto. Sembra che siano nati insieme agnolotti e Dolcetto. E tu pensa che c’è qualcuno che ci vorrebbe mettere invece il bianco. Ma ci sta davvero come i cavoli a merenda. (Pausa. Ne mangia uno che gronda di vino. Espressione estasiata) Assaggia, mangiare così fa bene sia al corpo che all’anima!

 

[…]

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